In un paese nascosto tra i monti Aurunci, un bambino di circa otto anni siede al tavolo della cucina, completamente concentrato su qualcosa che lo rapisce. I suoi genitori stanno ricevendo il loro nipote più grande che ha portato un ospite. L’uomo ha al collo una macchina fotografica, con sé alcuni obiettivi e una cartella piena di fotografie: scatti di volti degli abitanti del paese, molti gli sono familiari, addirittura parenti, ma ora li guarda attraverso un filtro che è simile a quello della memoria.
Le immagini catturano l’attenzione del fanciullo, lo trasportano velocemente in una dimensione trasfigurata che lo seduce e lo attrae, non saprebbe spiegarne il perché. Appena i due si congedano: - Voglio una macchina fotografica! - esclama.
Ma negli anni Settanta del secolo scorso, sebbene il Paese si sia rapidamente avviato verso una trafelata crescita economica, non è così semplice procurarsene una. Non tra quelle remote colline traboccanti di olivi e papaveri. Un diletto poi, per un ragazzino così piccolo, così imprevedibile! Potrebbe non avere cura di un oggetto costoso, potrebbe stancarsene, e dunque: - per il momento non si può, tu però, intanto, disegna! -.
Quell’ospite era Emilio Bestetti, fotografo e direttore della fotografia per molti registi, fra tutti, Roberto Rossellini; il ragazzino era Pierangelo Tieri (mentre il cugino più grande, giunto da Roma con l’amico, era Domenico Adriano, poeta di rara e musicale grazia).
Un episodio, questo, che sembra contenere in nuce tutta la vocazione e il destino del futuro artista.
Come nel mito platonico di Er, l’anima sceglie il proprio “compagno segreto”; daimon lo chiamavano i greci, genius secondo i latini, angelo custode, per i cristiani.
James Hillman, nel suo ormai notissimo “Il codice dell’anima”, riferisce come la chiamata, la vocazione alla propria individuazione, sia un percorso ineludibile, niente affatto casuale.
L’immagine della ghianda si presta perfettamente a descrivere questo concetto: seppur piccolissima, contiene in sé la globalità perfettamente definita dell’intera quercia.
È così che Pierangelo percorre a rebours la strada che porta a quelle prime immagini incantate, iniziando dal disegno, per poi passare alla xilografia e infine tornare alla fotografia come strumento di rapida annotazione, quasi diario intimo.
Partito da quelle visioni monocrome, sensuali evocatrici di un altrove, da quella grana sottile fatta di emulsione fotosensibile e di minuscole particelle di sali d’argento, l’artista trova i propri mezzi espressivi e li esplora. La verticalità delle sue trame segniche rappresenta una reminiscenza di quanto l’occhio vide e trattenne nella sintesi tonale del bianco e nero, ma anche una personale cifra espressiva.
Formatosi presso l’Accademia di Belle Arti di Frosinone e poi di Napoli, e conteso all’inizio tra scultura e disegno, Pierangelo Tieri trova nella tecnica silografica su legno di filo la sintesi felice fra due istanze: quella tridimensionale e volumetrica, che lo porta a desiderare di plasmare la materia, e quella astratta, grafica, dove però è per lui insufficiente la consistenza bidimensionale del foglio, e allora si fa legno, sgorbia, bulino. L’originalità del suo approccio tecnico discende in linea diretta dalle ricerche antiaccademiche e antinaturalistiche delle avanguardie artistiche del Novecento, dal postimpressionismo agli espressionisti.
Allora, la valenza icastica del segno xilografico lo fece apparire come un idioma efficace per esprimere le istanze di rinnovamento e di rottura: Paul Gaguin, Edward Munch, i pittori che presero parte alla Brüke, scelsero questo linguaggio proprio a causa delle caratteristiche di immediatezza e delle implicazioni gestuali che la tecnica offriva.
In piena sintonia con questo modus operandi, l’artista affronta il blocco di legno come fosse una scultura e incide la superficie con ceselli, coltelli, punteruoli e vari tipi di sgorbie.
L’uso della sgorbia a V gli permette di scavare la matrice con un unico gesto, senza il taglio e controtaglio del metodo classico. Il procedimento rende molto più semplice e soprattutto immediato il suo lavoro, facilitandone l’espressione del linguaggio.
Questo strumento, introdotto con le avanguardie artistiche del Novecento, permette una velocità esecutiva che se all’epoca fu essenziale per l’aggiornamento del linguaggio grafico, nell’opera di Tieri diventa sperimentazione portatrice di una gestualità insita nel suo lavoro e dei segreti della materia su cui opera, complice la cedevolezza dell’essenza prescelta: il pioppo.
I paesaggi urbani, le stazioni, i treni isolati da un’inquadratura spesso cinematografica, sono il terreno d’indagine di un artista che accoglie e reinterpreta il valore dell’ombra, ed anche, io credo, l’aspetto rilevante del suo lavoro. Una poetica di struggente nostalgia è espressa in figura di specchio deformante, infinito e illusorio, dove immagini chiare, riconoscibili, cedono ad altre oscure, indecifrabili. Sono i progetti, gli abbozzi di una realtà che si può solo avvicinare, per piccoli e puntuali passi, ma non del tutto possedere.
Il valore dell’esistenza non è mai appreso immediatamente nell’atto percettivo, ma è colto nel trascendimento di questo.
Una Pioggia senza fine sembra percuotere i cieli descritti dall’artista, di più, sembra velare la nostra lettura della rappresentazione.
Come nel racconto di Bradbury, le opere di Pierangelo Tieri accennano a un mondo parallelo, un paesaggio venusiano immaginato molto simile al nostro, in cui però piove ininterrottamente.
Solo una cupola solare, con la sua piccola sfera di fuoco, potrà salvare gli uomini naufragati su quel pianeta dalla disperazione e dalla follia. Anche in questi fogli, la vegetazione sembra crescere a vista d’occhio, pallida e perlacea perché in quella pioggia la luce che filtra non basta per regalare un po’ di colore alle foglie e alle piante.
Pioggia, nebbia. Emerge una certa dose di dinamismo attraverso il fenomeno atmosferico, che il foglio di grandi dimensioni accoglie e dilata.
Nelle opere “Manhattan” (2015), “Lampioni” (2016), “Dal Quirinale” (2017), “Di mattina presto” (2017), “Napoli verso il Vesuvio” (2018), “Venezia” (2018), “Treno in galleria” (2019), si scorgono, sedimentati, i numi tutelari di un percorso storico-artistico in parte dichiarato e in parte interiorizzato. La vie moderne è colta nelle sue rappresentazioni più efficaci e in accordo con i grandi cantori della modernità, da Charles Baudelaire a Giuseppe De Nittis, a Giacomo Balla.
Lo sguardo di Pierangelo Tieri cerca instancabile nella solitudine esistenziale delle città, nell’atmosfera sospesa dei vagoni, ciò che di eterno e duraturo si nasconde nel presente e nell’effimero.
La tensione del processo ideativo trascorre in questo caso “dal materiale stesso e dal percorso della mano” (Fossier 1990), in quanto gli “ingredienti” non sono mai in secondo piano; fondamentale in questa sottile alchimia è inoltre l’elemento temporale, che scandisce il ritmo dell’esecuzione: l’artista lavora sul blocco di legno, eseguendo con una certa immediatezza il disegno a carboncino direttamente sulla matrice da incidere. L’esecuzione non prevede prove intermedie di stampa, né l’artista si avvale di polveri colorate per vedere più chiaramente i contorni che va intagliando.
La stampa viene eseguita rigorosamente a mano, con il Baren e le carte orientali da lui accuratamente selezionate, spesso nei toni caldi dell’avorio e del giallo, per ottenere più mistero che chiarezza. Non più di quattro, cinque esemplari per soggetto.
L’elemento imponderabile, la fascinazione provata nel sollevare il foglio capovolto per scrutarne l’immagine impressa, diventano il centro gravitazionale di una ricerca che considera sé stessa come unico soggetto, quindi mezzo privilegiato dell’ideazione e dell’individuazione. Così, laddove l’incisore tradizionale persegue il perfetto controllo della tecnica, prevedendo in anticipo gli esiti di ciascun segno, l’autore recupera quel primo stupore infantile di fronte agli scatti del fotografo, fa tesoro di quella freschezza.
Da osservatore appassionato, si affida all’elemento immediato, casuale, istantaneo, felice di prendere dimora nell’ondeggiante, nel movimento, nel fuggitivo e nell’indefinito.
C’è molta riflessione sedimentata in questi lavori, compresa la suggestione che proviene dalle “immagini del mondo fluttuante”. Ma è Giacomo Balla l’ascendente artistico incidente per Pierangelo Tieri, che ama riflettere sul dinamismo della luce e dei fenomeni atmosferici.
La “Lampada ad arco”, rappresentazione di un oggetto comune e perfino banale, fu una scelta teorica per Balla: dimostrare la superiorità di un bagliore elettrico rispetto all’ispirazione prodotta da un chiaro di luna.
Negli ultimi lavori: “Verso sera” (2022), “Riflessi notturni” (2022), “Cipresso all’imbrunire” (2022), “Bagliore serale” (2023), “Notturno sul lago” (2023) questa riflessione si estende al paesaggio, indagandone le minime variazioni atmosferiche e quelle stagionali, caratterizzata da una dichiarata preferenza per l’ambientazione notturna. Si tratta di un ulteriore passaggio a un livello di consapevolezza superiore, una sintesi estrema tra la rappresentazione e il suo rovesciamento, l’astrazione.
Infine, una riflessione sulla tecnica. La xilografia, nata con l’affermarsi della produzione cartaria, per la riproduzione seriale di piccole immagini devozionali o per stampare le carte da gioco, fu, a più riprese, con il cambiare dei tempi, completamente rivoluzionata, sia nella pratica che nell’impiego. Fra tutti, Albrecht Dürer contribuì in modo fondamentale a distaccare la silografia dalla mera funzione illustrativa per diventare opera autonoma e originale, portando inoltre la tecnica a un livello di ineguagliata raffinatezza stilistica.
Come già accennato, sarà con le avanguardie artistiche del Novecento che le sperimentazioni modificheranno e ribalteranno l’intaglio tradizionale, e la stampa diverrà portatrice della gestualità dell’artista e della materia su cui opera. Inoltre, a partire da queste esperienze, la xilografia condensò e aggregò tutte quelle istanze che reagivano all’idea della stampa intesa come opera di “traduzione”, riproduzione e diffusione dell’immagine attraverso la serialità.
In Italia, un forte impulso al rinnovamento di questa tecnica si ebbe al principio del secolo scorso grazie all’editoria periodica. Si pensi, soltanto per citare alcune riviste, a “L’Eroica” (1911), “Lacerba” (1913) e “Xilografia” (1924); molte di queste raccolsero intorno a sé i migliori xilografi italiani, vi presero parte sia autori più strettamente legati alla tradizione, come Adolfo De Carolis, Diego Pettinelli e Bruno da Osimo, che figure più “europeiste” come Lorenzo Viani ed Ebba Holm. Ma su tutte vorrei qui ricordare il periodico “La Diana” (Siena 1926) che ebbe il merito di aver pubblicato, nella sua prima annata, numerose xilografie di Dario Neri.
Un inconsapevole nume tutelare, quest’ultimo, ma nell’assonanza più vivo di tutti; quella “nuova xilografia”, che prediligeva la linea pura, la contrapposizione netta del bianco e nero, che prendeva a modello lo stile dei primi illustratori del libro e in una certa misura la stampa popolare, sembra rigenerarsi, avere nuova linfa per mano di Pierangelo Tieri.
Pazientemente, e in amorevole ossequio della materia, il suo operare continua a scavare il legno. Cerchi e venature ne tracciano gli anni, così come l’attento incalzare delle sgorbie estrae con devozione la varietà delle tematiche trattate: dai soggetti naturalistici, come gli alberi, considerati isolatamente o contestualizzati, o i mutamenti che la città manifesta, con le sue gallerie desolate, i suoi treni in attesa.
Sembra, scorrendo questi lavori, che Pierangelo Tieri abbia tenuto fede a una regola non scritta: accogliere l’idea di un continuo movimento, di una trasformazione sempre in fieri di cui l’operare artistico si fa erede e testimone. E forse è proprio questo le plasir: un progetto da tracciare ogni giorno.
Mostra collettiva, Menzione Speciale "XXXIV Porticato Gaetano", Gaeta (Lt)
Una pittura poliedrica, quella di Pierangelo Tieri, sradicata dalle forme oggettive, ma non per questo astratta. Pittura come materia plasmabile in segni, forme e colori. I suoi lavori, sono contraddistinti dalla forza dirompente della luce, inducono ammirazione e soprattutto grande serenità. Pittura densa di sottili vibrazioni quella di Tieri, artista dotato di feconda fantasia e di profonde conoscenze tecniche che, esprime le sue notevoli capacità creative in una ricerca densa di contenuti di grande respiro. I soggetti delle sue opere ci danno la misura di un lirico sentire, che fonde in mirabili armonie i sogni, le certezze e i desideri di un'esperienza sublimante di viva espressività.
Colore e forma si accompagnano nell'assoluto senza complicità dialettiche con il fondo. Il colore è sempre l'elemento dominante della sua pittura, tanto da affermare che linea, prospettiva, chiaroscuro, tono ed altro sono derivati di questa forza cromatica che può giungere ad annullarsi nel bianco e nero o ad esaltarsi nello sfavillio dei più impensati impasti cromatici. Pierangelo Tieri costruisce un suo mondo preciso e ben delimitato, un percorso da cui prende vita il "graffitismo". Un mondo virtuoso di colore e luce. I suoi cicli pittorici si presentano come una sorta di racconti dello spirito con temi e ambientazioni diversi, trame e percorsi si incrociano al di là di ogni formale coerenza con il risultato di avere un susseguirsi di emozioni e scoperte tanto più sorprendenti, quanto apparentemente prive di uno sviluppo logico-creativo. Una pittura armoniosa la sua, a cui si aggiunge una ricerca, un voler scavare al di fuori delle normalità sino al surreale, una sintesi che gli permette di aggiungere alle caratteristiche esteriori un tocco di magia e di luce. Materia e struttura stimolano Tieri spingendolo alla ricerca di una combinazione armonica fra gli elementi delle sue composizioni e l'espressione poetica che portano alla nascita del "graffitismo" che regala all'osservatore effetti straordinari, la cui particolare luce crepuscolare lo accompagna nel viaggio all'interno dei suoi lavori.
La scelta dei colori "riposanti" il buon gusto degli accostamenti cromatici, la saggia ritmica delle sue graffiature rendono la sua arte sempre più sperimentazione. L'artista ricorre a modi e supporti completamente innovativi, che s'intersecano lungo diverse direttrici che hanno in comune la significativa radice pittorica e grafica, la magistrale qualità segnica e coloristica dei pigmenti utilizzati, nonché l'eccezionale tecnica realizzativa. Un'artista sopra le righe Pierangelo Tieri, la sua opera è un viaggio mentale senza alcun spostamento fisico; a significare che la ricerca del bello nell'arte e nella vita si può tradurre in un'esperienza intimamente emozionale e concettuale, seppur del tutto statica come i suoi treni.
Massimo Arcese (scrittore e giornalista) 2019
Mostra collettiva, dal catalogo "Itinerari d'arte", Frosinone
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Prof. Marcello Carlino (critico e storico letterario) 2018
Mostra collettiva, Menzione Speciale "XXIX Porticato Gaetano", Gaeta (Lt)
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Dalla rivista "Oltre la linea - Ricognizioni", Bergamo
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Mostra personale, dal quotidiano "La Provincia", Sant'Ambrogio sul Garigliano (Fr)
Mostra collettiva, dal catalogo " 1ᵃ Biennale di Spoleto", Spoleto (Pg)
Il neo-romanticismo di Pierangelo Tieri prende forma dagli incisori storici quali Dürer, Cranach, per approdare a Bonnard o al fascino di Boccioni, al Carnovali o al Fontanesi.
Dal quotidiano "Ciociaria Oggi", Frosinone
Si tratta, a parere di chi scrive, di uno dei vertici dell’arte di Tieri. La grande opera L'uomo col cappello del 2005 (xilografia a colori 2,00x1,40 metri) presenta una figura umana maschile che occupa la metà sinistra della composizione, mentre l’altra metà mostra lo sfondo di una grande strada con una serie di palazzi incombenti collocati a una certa distanza secondo un dosaggio prospettico accurato. L’uomo in primo piano con cappello e cappotto e con le braccia che seguono in parallelo le linee del corpo sembra in procinto di uscire dallo spazio del quadro con una piccola parte delle scarpe che fuoriescono dalla struttura della composizione. I connotati del viso non sembrano voler indicare alcunché di specifico; la figura appare nella più totale impersonalità. Forse l’autore ha voluto suggerire la odierna condizione di anomia, di assenza di norme e codici di riferimento, quindi di insignificanza del singolo in un mondo che dell’uomo può anche fare a meno. Seguono la serie di 4 Volti tutti del 2007, uno studio della fisiognomica del viso esprimente una vasta gamma di sentimenti umani (serenità, rassegnazione, tristezza, ecc.). I volti parlano dello scorrere del tempo attraverso le rughe, attraverso le linee della fronte, attraverso gli occhi a volte sgranati a volte puntati verso lo spettatore; parlano delle fatiche del vivere, del dolore rappreso di fronte alle offese della sorte. Le opere successive Lampioni del 2013 e Angolo urbano del 2005 ripropongono ancora una volta il tema ricorrente di Tieri, la città e le sue dimensioni eccedenti, smisurate rispetto alle possibilità del vivere umano. Stavolta i tratti sono ancora più marcati e gli effetti ancora più dirompenti. Le ultime opere della mostra (Vagoni del 2009, Stazione del 2012, Treno e Treno 2 entrambe del 2009) possono essere lette metaforicamente come simboli del nomadismo, della condizione di emigranti e più in generale dell’inquietudine umana, della vita come viaggio dove non conta la meta ma la insoddisfazione che spinge verso un altrove sconosciuto. In conclusione, vale per Tieri, come per qualsiasi artista, l’osservazione che nessuna descrizione nel linguaggio della parola può dar conto in modo esauriente di quanto è espresso nel linguaggio della figurazione artistica. Trattandosi, inoltre, nel caso nostro di opere di notevoli dimensioni, è bene sottolineare quanto sia necessaria la visione diretta, attenta sia all’effetto d’insieme sia ai particolari. Questo gruppo di opere (considerate anche in rapporto alle altre presentate nelle 30 mostre cui Tieri ha esposto) ci mettono di fronte a un artista che ha saputo esprimere gli “smarrimenti dell’anima” (come recita il titolo della mostra) e che ha saputo dare testimonianza, sul terreno proprio dell’arte, della nostra condizione umana nell’epoca detta ipermoderna, caratterizzata dal crollo delle certezze e quindi da una inquietudine diffusa (tema segnalato sia dal critico Giorgio Palumbi, sia dal poeta Tommaso Lisi nella brochure di presentazione). In questo senso l’arte di Tieri è meritoriamente “inquietante”, in quanto ci scuote dalla inconsapevolezza e ci invita a guardare una realtà forse sgradevole, ma certamente non oscurabile con patetiche rimozioni. Riformulando all’interrogativo il celebre detto di Dostoievskij, possiamo chiederci: “La bellezza e l’Arte salveranno il mondo?
Giorgio Palumbi (critico d'arte) 2013
Mostra personale, dal depliant "Smarrimenti dell'anima", Roma
Mostra collettiva, dal catalogo "Ars Creandi", Roma
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I volti e i paesaggi particolari di un tempo, realizzati da Pierangelo Tieri, inducono a pensare al personaggio antico. Lo studio che Tieri sta portando avanti, unico nel suo genere, dai colori tenui ma allo stesso tempo incisivi, ci deve far riflettere tanto. Le sue opere comunicano in maniera semplice facendoci intravedere la visione di ieri trasformata in attualità. I gesti e le espressioni ci appaiono familiari, come gli scorci e gli immensi paesaggi. E' un'arte, questa, che fa parte dell'anima serena e burrascosa, gioiosa e triste, solare e nera del giovane artista. Le tele di Tieri si presentano maestose con la giusta tonalità, trasparenza e profondità di esecuzione.
Mostra personale, dal depliant "Fratture del tempo", Cassino (Fr)
Menzione Speciale
Presso la Pinacoteca Comunale d'Arte Contemporanea di Gaeta (Lt), si è svolto XXXIV Premio Porticato Gaetano. Tieri riceve la Menzione Speciale con un dipinto ad olio su tela dal titolo "Bambino che dorme". La rassegna ha annoverato la partecipazione di ottantasei artisti e quattro scuole medie statali del territorio che si sono cimentati sul tema "Francesco, il senso della meraviglia".
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Premio Acquisto
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Presso la Pinacoteca Comunale d'Arte Contemporanea di Gaeta (Lt), si è svolto il XXIX Premio Porticato Gaetano. Tieri riceve la "Menzione Speciale" con un'opera xilografica dal titolo "Lampioni". La rassegna ha annoverato la partecipazione di novantacinque artisti italiani e stranieri che si sono cimentati sul tema "Periferie". La manifestazione fin dalle prime edizioni è insignito di medaglia del Presidente della Repubblica Italiana.
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"Premio Internazionale La Pigna" 2015