Je n’ai pas encore connu le plaisir d'un plan réalisé
Charles Baudelaire
"Ortografia del viaggio di Pierangelo Tieri"
L’occasione della pubblicazione di Ortografia del viaggio è stata la personale di Pierangelo Tieri, tenutasi al Brunitoio - Officina d’Incisione e stampa in Ghiffa (VB), dal 3 al 25 agosto 2024. L’artista, nato nel 1971 e originario di Coreno Ausonio (FR), si è formato presso le Accademie di Belle Arti di Frosinone e Napoli, dove ha studiato pittura, grafica e fotografia. In Accademia Tieri sperimenta le possibilità espressive della xilografia a colori espandendole su carte di grandi dimensioni grazie alla guida di Mauro Filipponi, professore di tecniche d’incisione e collaboratore come pittore di scena ad alcune produzioni felliniane, che realizzò nel 1982 anche calcografie per il film E la nave va. L’incontro con Filipponi si inserisce significativamente nel percorso artistico di Tieri, spesso caratterizzato da visioni che rimandano alla settima arte. Ci si riferisce in particolare alle inquadrature di quel cinema noir del secolo scorso, comprese le sue traduzioni in più recenti graphic novel (che ebbe nel detective Philip Marlowe uno dei suoi eroi) e più ancora alla pioggia quasi perenne che accompagna la proiezione di Blade Runner. Non la versione di Ridley Scott del romanzo di Philip Dick, quanto la novella di Ray Bradbury Pioggia senza fine è posta a confronto con il lavoro dell’incisore nel testo critico (Nel solco della memoria. Tradizione e innovazione nelle xilografie di Pierangelo Tieri) del catalogo, da leggere come un racconto, o meglio una sceneggiatura che inizia, interno giorno, con un bambino che desidera una macchina fotografica. Gabriella Pace ci porta nella Coreno Ausonio degli anni Settanta del Novecento alle radici di una vocazione. Ecco dunque che la «grana sottile fatta di emulsione fotosensibile» si connette con il disegno e l’intaglio e costituisce nell’insieme un punto di sintesi di una ricerca «inevitabile» come ha scritto altrove il poeta Domenico Adriano.
La narrazione biografica cede il passo ad alcune intersezioni con i maestri dell’incisione su legno, sottolineando vicinanze ideali con coloro che tra fine Ottocento e avanguardie ne esaltarono in chiave antiaccademica gli aspetti scarni e l’immediatezza comunicativa della tecnica, che la messa a punto di nuovi strumenti ne aveva semplificato l’esecuzione. Come la sgorbia a V che
Nella descrizione delle opere, paesaggi urbani in cui i fenomeni atmosferici, definiti dai tagli dei coltellini, conferiscono un certo dinamismo all’immagine in cui domina un tempo sospeso, per dirla ancora con Adriano, «tra apocalisse e calma», si individua l’eredità delle rappresentazioni della vita moderna, dagli impressionisti ai futuristi, e si rivelano, ora come allora, i semi del disagio. E quindi come non pensare che gli spazi deserti raffigurati siano un’intuizione più o meno consapevole del fenomeno Hikikomori, l’isolamento sociale che interessa in particolare i più giovani e che li porta a osservare il mondo attraverso una finestra o il display del telefonino. Perché le visioni cittadine di Tieri sembrano mediate da uno schermo, con una distanza confermata dallo stesso procedimento operativo, stabilita con il distacco del foglio da quel luogo, in cui si combatte corpo a corpo con la materia, deformandola e scolpendola, che è la matrice. Proseguendo nella lettura troviamo altre suggestioni, altre possibili ascendenze. Utagawa Hiroshige è il collegamento con l’Oriente, dalla scelta delle carte, all’uso del Baren per la stampa e alle analogie con quel mondo fluttuante delle stampe Ukiyo-e fatto di attimi quotidiani come Sudden Shower of skin – hashi bridge and Atake. Giacomo Balla è il riferimento stilistico diretto. Il modello è il bagliore luminoso della Lampada ad arco che Tieri interpreta negli ultimi lavori come vibrante relazione tra linea e luce, delineando paesaggi notturni in bianco e nero, in ideale continuità con l’incisore toscano Dario Neri.
Gabriella Pace, poeta e scrittrice, oltre che restauratrice esperta di opere su carta, si concede in una parte del suo saggio una breve riflessione sulla tecnica dell’incisione su legno, dalle immagini devozionali del Quattrocento alle riviste del secolo scorso, con un imprescindibile riferimento ad Albrecht Dürer e al suo contributo nel passaggio «dalla mera funzione illustrativa per diventare opera autonoma e originale».
"Pierangelo Tieri e l'arte inevitabile"
La maturità di Pierangelo Tieri ha inizio da un autoritratto, così bello e doloroso per cui in molti pensarono che il ragazzo, sorpreso dal grande pudore che già aveva di sé, aveva intrapreso per nascondimento di realizzare un dipinto quale omaggio alla memoria del grande Sironi. Un artista deve partire da sé, ma deve fare riferimento alle altezze più alte, deve attraversarle per poi avere la possibilità di tornare alla propria intima umanità. La bellezza e la perfezione avrebbero potuto annientare il giovane artista. Ma poiché Pierangelo Tieri ha innato in sé il dono di guardare e ascoltare, non si è adagiato ma ha continuato pazientemente a cercare e a sperimentare, a disegnare di fatto e con la fantasia, ovvero si è messo a “studiare” ben sapendo che lo studio non avrà mai fine.
L’autoritratto nel frattempo è finito in una poesia di Domenico Adriano: «Due sono le persone per cui ritorno spesso al mio / paese. Una è mia nonna, l’altra Tommasino, / il poeta Tommaso Lisi […] / Da un po’ di tempo vengo a Coreno anche per rivedere / un dipinto che sta, guarda caso, proprio in casa / di Tommasino: un inquietante e bellissimo / autoritratto, opera tra le primissime di / Pierangelo Tieri, un ragazzo fiero e inquieto, / che è riuscito in questo piccolo capolavoro a / trasmetterci insieme con una meravigliata / pensosità, l’improvvisa e sconvolgente scoperta / della solitudine […] / la testimonianza di un ragazzo che un giorno seppe / cogliere di sé non l’immagine che gli riflette / ogni specchio, ma quella segreta e tuttora / oscura dello specchio di sé». Il giovane aveva diciassette anni. Il dipinto a tutt’oggi è premurosamente custodito dal poeta Lisi.
Ora, come allora, Adriano invita qui oscuri visitatori a venire a Coreno Ausonio a ammirare l’opera giovanile di Pierangelo Tieri, un olio che è quasi una scultura, la pienezza della forma semplicemente realizzata. Si augura possibile che una prossima non troppo futura “personale” dell’artista possa ospitare quel dipinto. I fortunati avventori scoprirebbero Tieri quale un poeta che cerca col pennello o scava nel legno sempre lo stesso turbamento, lo stesso stupore dell’infinito che lo invase certo già da bambino.
Il ragazzo ha portato poi nel tempo la sua freschezza, ha proseguito e arricchito lentamente negli anni il suo lavoro senza mai ripetersi, né ritornare sugli incroci della sua bravura, cercando e disseppellendo, affinando nuove tecniche. Testimoni attenti ne hanno registrato il percorso assai sobrio, che pur vario segue sempre, all’insegna della memoria, come un antico tratturo. È tutto verificabile, critici avvertiti ne hanno sottolineato l’originalità della ricerca e del taglio. Ma io qui lo ribadisco: i dipinti come le xilografie di Tieri sono visioni, e le più tra apocalisse e calma. La luce dalla quale sembrano scaturire è un velo di marmo, come un lume del pensiero, una rappresentazione ogni volta di mirabile asciuttezza mentre ogni paesaggio si affaccia a nuova vita quasi sciogliendosi da un gelo rovente.
Pierangelo Tieri deve davvero aborrire la riproducibilità, se le sue xilografie sono sempre state così mirate all’assoluto (quattro o cinque; già dopo la prova e la prima stampa verosimilmente insoddisfatto). Ci si paleserà un giorno come le sue vie, le sue indagini quando hanno toccato un apice o un consenso di critica o di pubblico, subito si sono chiuse, concluse quasi a fermare un tempo e una impronta irripetibili. O almeno io così credo sia stato finora, quale un urto a nascondere una intimità che lui stesso non conosceva o non aveva avuto occhi per vedere. Lo svelamento: ogni volta per questo pittore la vicenda di un’opera è un rivelarsi, uno scovare e scoprire qualcosa di inevitabile che mai avrebbe inteso di mostrare nemmeno a se stesso. Allora il pennello infine affonda in altri colori degli occhi e della mente; la mano più sicura con la sgorbia, o anche solo con un chiodo, scava decisa in un legno di pioppo o di faggio per riconoscere un paesaggio che lo attrae, una pioggia ininterrotta, un treno che non accetta freni, una strada o la piazza di una città che irresistibilmente vogliono restare soli con il proprio dolore.
Domenico Adriano (poeta e critico letterario) 2024
Istituto della Enciclopedia Treccani Italiana di scienze, lettere ed arti, Roma
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Il procedimento della stampa xilografica di grande formato presentato al primo Congresso Nazionale dei Docenti di Grafica d’Arte, ha voluto mettere in luce la complessità di esecuzione che tale situazione determina. Mediante la visione di un video si è potuta constatare la meticolosità, con la quale le varie fasi di stampa si sono susseguite, e la conoscenza degli specifici passaggi di rito per la buona riuscita della stessa.
La stampa finale è risultata di grande effetto; costituita da quattro fogli di 70x100 centimetri che compongono la totalità dell’immagine, si sviluppa per una superficie di 2 metri per 1 metro e 40. L’aggiunta poi di sagome colorate la rende ancora più suggestiva.
Pierangelo Tieri, in maniera meticolosa e attenta ha dato con la sua opera un ottimo risultato ed una grande soddisfazione ai docenti che hanno seguito il risultato del suo lavoro, ma soprattutto all’Accademia di Belle Arti di Napoli, che ha reso possibile attraverso vari compromessi il raggiungimento dell’obiettivo.
La pratica di Pierangelo Tieri si colloca tra xilografia e pittura, in un territorio in cui la tradizione della stampa d’arte si apre a sperimentazioni visionarie. Le sue opere evocano scenari urbani e figure solitarie, immerse in atmosfere sospese che rimandano a un realismo trasfigurato. Attraverso un linguaggio che fonde segno e colore, incisione e pittura, Tieri costruisce immagini che oscillano tra la precisione grafica e l’emozione della materia pittorica. Costante nelle sue opere è la presenza di un segno sottile, quasi una trama che sembra tessere l’immagine stessa: una pioggia di segni che attraversa la composizione, costruendo una narrazione fatta di vibrazioni visive e stratificazioni di significato.
Ilaria Monti (critico d'arte) 2025
Mostra collettiva, dal catalogo "Pentafonia", Priverno Fossanova (LT)
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"Primavera d'estate"
Menzione Speciale
"XXIX e XXXIV Premio Porticato Gaetano" 2018 e 2022
Mostra collettiva, Menzione Speciale "XXXIV Porticato Gaetano", Gaeta (Lt)
La storia dei rapporti tra arti visive, letteratura e filosofia può frequentemente riservare piacevoli sorprese. Una di esse è il “rapporto a distanza” intercorrente tra le xilografie a tema urbano di Pierangelo Tieri e la sensibilità manifestata da Giacomo Leopardi nelle lettere scritte durante il suo primo, deludente soggiorno a Roma. A tutta prima sembrerebbe impossibile accostare il profilo di questo originale artista di Coreno Ausonio a quello del poeta-filosofo marchigiano. Tuttavia, a uno sguardo appena più approfondito, si può constatare che il classicismo “eroico” di quest’ultimo non impedisce alcuna reale interazione col tenebroso postmodernismo del primo. A fare da punto d’incontro tra Tieri e Leopardi, infatti, ci sono a mio avviso due elementi: a) la capacità di cogliere lo spirito della città in dettagli apparentemente insignificanti o quantomeno inessenziali; b) una significativa attenzione per la solitudine e l’anonimato intesi come tratti caratteristici della vita delle metropoli. In merito al primo elemento è opportuno considerare la propensione, presente sia in Tieri che in Leopardi, a soffermare l’attenzione su oggetti e situazioni marginali e quotidiane lasciando in secondo piano la componente “monumentale” della vita delle grandi città. Si pensi alla Parigi o alla Manhattan incise dall’artista corenese, nelle quali è possibile scorgere lampioni, vicoli, palazzi, ringhiere ecc. ma non la Torre Eiffel né la Statua della Libertà; oppure si pensi alla commozione provata da Leopardi di fronte alla sobria austerità della tomba di Torquato Tasso, da egli esplicitamente contrapposta alla solenne vuotezza degli altri mausolei romani. La verità dei grandi spazi urbani, insomma, viene colta da entrambi attraverso una modalità di sguardo che, con Adorno, potremmo definire «micrologica», ovvero tesa a individuare il senso di grandi movimenti storici a partire dall’osservazione della vita quotidiana. Altri esempi di quest’attitudine sono rinvenibili nei treni incisi da Pierangelo Tieri o nelle “maschere di carattere” che Leopardi ritrae lettera dopo lettera. I primi, infatti, nascono dalla concreta esperienza dell’Odissea vissuta dai pendolari del basso Lazio, quotidianamente costretti a recarsi a Roma per lavoro (Treno di prima mattina è, in proposito, un’opera emblematica fin dal titolo), ma aspirano a metaforizzare il pendolarismo esistenziale a cui la società contemporanea condanna ciascuno di noi. Le seconde, invece, rinvenibili, per esempio, nei preti vanesi o nell’egoismo dei componenti di casa Antici di cui Leopardi parla nelle lettere alla sorella Paolina o a Monaldo, diventano figure capaci di rappresentare la vanità e il cinismo di una città corrotta. Alla luce di tutto questo non sembra impossibile ravvisare, nel Leopardi del primo soggiorno romano come nelle xilografie di Pierangelo Tieri, un atteggiamento accostabile – per quanto non del tutto sovrapponibile – a quello dei flâneurs otto-novecenteschi. Anche questi ultimi, infatti, amavano girovagare per le metropoli europee cogliendone lo spirito a partire da dettagli di vita quotidiana e rifuggendone gli aspetti monumentali e “ufficiali” (Walter Benjamin ebbe a dire che «le grandi reminiscenze, i brividi storici sono una miseria che egli [il flâneur] lascia volentieri al turista»); e anche questi ultimi, in effetti, hanno non di rado evidenziato che la civiltà metropolitana è essenzialmente contrassegnata da quell’anonimato e da quella solitudine su cui sia Leopardi che Tieri concentrano, come si è detto in precedenza, gran parte della loro attenzione. In proposito è utile tener presente L’uomo col cappello. In questa xilografia, originariamente – e significativamente – intitolata L’uomo solo, Pierangelo Tieri mostra infatti l’estraneità dell’individuo allo spazio urbano mettendo in primo piano un uomo dall’aria enigmatica, posto in risalto rispetto al grigiore delle architetture urbane che si lascia alle spalle perché interamente colorato di rosso e in controluce. Si tratta, come acutamente osservato da Anna Mariani, di una «metafora dell’eterna solitudine metropolitana» resa ancor più evidente dal fatto che le sue estremità «varcano i margini protraendosi oltre la superficie dell’immagine per entrare in un’altra dimensione spaziale e temporale». L’uomo metropolitano, insomma, abita la città senza esserne parte, come le folle romane descritte da Leopardi non possono far altro che assistere da spettatrici e mai da protagoniste allo svolgersi della vita dell’Urbe. L’uomo col cappello è, del resto, la sola xilografia a tema urbano in cui Tieri fa spazio a una figura umana. Nelle altre città da egli incise, infatti, l’uomo è del tutto assente e l’atmosfera, surrealmente desertica, ricorda, non senza significative differenze, quella delle piazze metafisiche di Giorgio De Chirico. In questo modo l’artista si colloca decisamente al di qua di ogni tentazione “realista” – evitando, con ciò, il rischio di un didascalismo “cartolinesco” – e opta per una decisa simbolizzazione del dato concreto da cui emerge la stessa desolazione individuata da Leopardi nella Città Eterna. Appare addirittura impressionante, da questo punto di vista, la prossimità tra le atmosfere urbane incise da Tieri su legno di filo e le parole usate dal grande recanatese nella lettera a Paolina Leopardi del 3 dicembre 1822, in cui si legge che «la grandezza di Roma non serve ad altro che a moltiplicare le distanze, e il numero de’ gradini che bisogna salire per trovare chiunque vogliate. Queste fabbriche immense, e queste strade per conseguenza interminabili, sono tanti spazi gittati fra gli uomini, invece d’essere spazi che contengano gli uomini». Immagini, queste, che ricordano le infinite scale mobili delle stazioni ferroviarie delle grandi metropoli contemporanee, lungo i cui gradini si muovono quelle solitudini che offrono a Pierangelo Tieri l’occasione per tirare fuori il peculiare “leopardismo metropolitano” che abita nelle profondità del suo sguardo.
"Infinito metropolitano"
"Graffitismo, un mondo virtuoso di luce e colore"
Colore e forma si accompagnano nell'assoluto senza complicità dialettiche con il fondo. Il colore è sempre l'elemento dominante della sua pittura, tanto da affermare che linea, prospettiva, chiaroscuro, tono ed altro sono derivati di questa forza cromatica che può giungere ad annullarsi nel bianco e nero o ad esaltarsi nello sfavillio dei più impensati impasti cromatici. Pierangelo Tieri costruisce un suo mondo preciso e ben delimitato, un percorso da cui prende vita il "graffitismo". Un mondo virtuoso di colore e luce. I suoi cicli pittorici si presentano come una sorta di racconti dello spirito con temi e ambientazioni diversi, trame e percorsi si incrociano al di là di ogni formale coerenza con il risultato di avere un susseguirsi di emozioni e scoperte tanto più sorprendenti, quanto apparentemente prive di uno sviluppo logico-creativo. Una pittura armoniosa la sua, a cui si aggiunge una ricerca, un voler scavare al di fuori delle normalità sino al surreale, una sintesi che gli permette di aggiungere alle caratteristiche esteriori un tocco di magia e di luce. Materia e struttura stimolano Tieri spingendolo alla ricerca di una combinazione armonica fra gli elementi delle sue composizioni e l'espressione poetica che portano alla nascita del "graffitismo" che regala all'osservatore effetti straordinari, la cui particolare luce crepuscolare lo accompagna nel viaggio all'interno dei suoi lavori.
La scelta dei colori "riposanti" il buon gusto degli accostamenti cromatici, la saggia ritmica delle sue graffiature rendono la sua arte sempre più sperimentazione. L'artista ricorre a modi e supporti completamente innovativi, che s'intersecano lungo diverse direttrici che hanno in comune la significativa radice pittorica e grafica, la magistrale qualità segnica e coloristica dei pigmenti utilizzati, nonché l'eccezionale tecnica realizzativa. Un'artista sopra le righe Pierangelo Tieri, la sua opera è un viaggio mentale senza alcun spostamento fisico; a significare che la ricerca del bello nell'arte e nella vita si può tradurre in un'esperienza intimamente emozionale e concettuale, seppur del tutto statica come i suoi treni.
Massimo Arcese (scrittore e giornalista) 2019
Mostra collettiva, dal catalogo "Itinerari d'arte", Frosinone
Prof. Marcello Carlino (critico e storico letterario) 2018
Mostra collettiva, Menzione Speciale "XXIX Porticato Gaetano", Gaeta (Lt)
"Il mondo metafisico di Pierangelo Tieri"
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Il neo-romanticismo di Pierangelo Tieri prende forma dagli incisori storici quali Dürer, Cranach, per approdare a Bonnard o al fascino di Boccioni, al Carnovali o al Fontanesi.
Si tratta, a parere di chi scrive, di uno dei vertici dell’arte di Tieri. La grande opera L'uomo col cappello del 2005 (xilografia a colori 2,00x1,40 metri) presenta una figura umana maschile che occupa la metà sinistra della composizione, mentre l’altra metà mostra lo sfondo di una grande strada con una serie di palazzi incombenti collocati a una certa distanza secondo un dosaggio prospettico accurato. L’uomo in primo piano con cappello e cappotto e con le braccia che seguono in parallelo le linee del corpo sembra in procinto di uscire dallo spazio del quadro con una piccola parte delle scarpe che fuoriescono dalla struttura della composizione. I connotati del viso non sembrano voler indicare alcunché di specifico; la figura appare nella più totale impersonalità. Forse l’autore ha voluto suggerire la odierna condizione di anomia, di assenza di norme e codici di riferimento, quindi di insignificanza del singolo in un mondo che dell’uomo può anche fare a meno. Seguono la serie di 4 Volti tutti del 2007, uno studio della fisiognomica del viso esprimente una vasta gamma di sentimenti umani (serenità, rassegnazione, tristezza, ecc.). I volti parlano dello scorrere del tempo attraverso le rughe, attraverso le linee della fronte, attraverso gli occhi a volte sgranati a volte puntati verso lo spettatore; parlano delle fatiche del vivere, del dolore rappreso di fronte alle offese della sorte. Le opere successive Lampioni del 2013 e Angolo urbano del 2005 ripropongono ancora una volta il tema ricorrente di Tieri, la città e le sue dimensioni eccedenti, smisurate rispetto alle possibilità del vivere umano. Stavolta i tratti sono ancora più marcati e gli effetti ancora più dirompenti. Le ultime opere della mostra (Vagoni del 2009, Stazione del 2012, Treno e Treno 2 entrambe del 2009) possono essere lette metaforicamente come simboli del nomadismo, della condizione di emigranti e più in generale dell’inquietudine umana, della vita come viaggio dove non conta la meta ma la insoddisfazione che spinge verso un altrove sconosciuto. In conclusione, vale per Tieri, come per qualsiasi artista, l’osservazione che nessuna descrizione nel linguaggio della parola può dar conto in modo esauriente di quanto è espresso nel linguaggio della figurazione artistica. Trattandosi, inoltre, nel caso nostro di opere di notevoli dimensioni, è bene sottolineare quanto sia necessaria la visione diretta, attenta sia all’effetto d’insieme sia ai particolari. Questo gruppo di opere (considerate anche in rapporto alle altre presentate nelle 30 mostre cui Tieri ha esposto) ci mettono di fronte a un artista che ha saputo esprimere gli “smarrimenti dell’anima” (come recita il titolo della mostra) e che ha saputo dare testimonianza, sul terreno proprio dell’arte, della nostra condizione umana nell’epoca detta ipermoderna, caratterizzata dal crollo delle certezze e quindi da una inquietudine diffusa (tema segnalato sia dal critico Giorgio Palumbi, sia dal poeta Tommaso Lisi nella brochure di presentazione). In questo senso l’arte di Tieri è meritoriamente “inquietante”, in quanto ci scuote dalla inconsapevolezza e ci invita a guardare una realtà forse sgradevole, ma certamente non oscurabile con patetiche rimozioni. Riformulando all’interrogativo il celebre detto di Dostoievskij, possiamo chiederci: “La bellezza e l’Arte salveranno il mondo?
"Smarrimenti dell'anima"
"Il graffitismo di Pierangelo Tieri"
La cornice artistica nella quale s’inquadra l’innovativa produzione pittorica e grafica di Pierangelo Tieri è quella dell’etica e dell’estetica che si fanno interpreti di un’Arte quale dimora del visibile e dell’immaginario attraverso figurazioni graffiate, colorazioni scalfite e concetti socialmente e figurativamente espressi. La pulsante sensibilità del Pittore è nutrita da sedimentazioni cromatiche che si possono osservare nelle nebbiose immagini dei suoi dipinti nei quali si affacciano affascinanti scenari composti da incisivi segni, cromie e da tratti abilmente strutturati. Si tratta, cioè, di un attento sperimentare tendente a farsi corrente, anche artistica, attraverso l’intrigante nuova figurazione che sa non solo attirare lo sguardo ma, altre sì trattenere, all’interno dell’opera eseguita, le riflessioni di quanti se ne pongono alla visione. Le creazioni di Pierangelo Tieri si distinguono, appunto, per l’impegno performativo del suo pensiero che sa magnificamente combinarsi con le sensazioni suggerite dal moto della propria anima, facendo dello spazio ad esse assegnato il metafisico luogo d’incontro delle espressioni tonali dei suoi colori in un percorso di tratti che sanno rendersi custodi della testimonianza sociale. Le sue indiscusse valenti “graffiature” creative s’intersecano lungo diverse direttrici che hanno in comune la significativa radice pittorica, la magistrale qualità segnica e coloristica dei pigmenti utilizzati nonché l’eccezionale tecnica realizzativa. Pierangelo Tieri, pertanto, mediante i suoi travagliati dipinti, le cui tonalità coloristiche sanno parlare alla coscienza e penetrarne all’interno con inclusioni geometriche fittamente realizzate, crea nebbiose visioni sceniche dagli effetti straordinari la cui particolare luce crepuscolare sa accompagnare il pubblico in silenzi eloquenti restituendo ad esso la memoria dei malesseri sensibilmente perlustrati dalla potenza delle sue estrapolazioni coloristiche. La precisa ed efficace grammatica grafologica del Pittore tende così a far emergere dalle profondità di ciascuno il bisogno inarrestabile della nuova cultura affidata al linguaggio dei propri segni che sanno farsi stupefacenti traduttori delle preziosità di ogni quanto già esiste, una volta dissipatene le possedute insicurezze derivatene dalle nebbie esistenziali. Unicità espressiva, quella dell’Autore, che, con le sue complesse composizioni, concentra la propria analisi pittorica su di un “Ambiente” molto spesso non considerato come valore ed urbanisticamente violentato, ma che rappresenta un incommensurabile patrimonio al quale l’Artista sente di doverne rispetto con il porne in risalto le bellezze tradite dalle fumosità che ne offuscano le originali limpidezze naturali. Le rivoluzionarie realizzazioni di Pierangelo Tieri, sapientemente tratteggiate e ritmate da una poetica “gestuale”, itinerata da ricordi trasportati dal vento di un idealismo “post-kantiano”, rivisitato dalla personale esigenza di raccontare pittoricamente una decadenza sociale, vogliono, quindi, indagare un “altrove” suggestionato da una cultura contemporanea tendente ad annebbiare gli spazi dell’anima, che viene, però, ad essere artisticamente illuminata dai brani di luce delle sue opere capaci di sintonizzarsi con l’onda espressiva dei Grandi Maestri del ‘500. Il suo mondo grafico, alla pari di quello pittorico che nelle tonalità delle cromie e nelle costruzioni segniche ricorda le opere degli Artisti del ‘900 quali Gino Severini, Bernard Buffet, Mario Deluigi, si rivolge anche alle realizzazioni xilografiche magnificate dall’espressività dei suoi decisi segni e dall’adeguatezza delle colorazioni applicate, il cui accento sulla funzione sociale dell’Ambiente è reso evidente dall’Artista con il suo “graffitismo” che denuncia le sofferenze e le inquietudini dallo stesso combattute attraverso la sua tecnica tesa a dare luce e riequilibrio ad un “Habitat” stravolto dall’Uomo che, inconsapevolmente od incoscientemente, nel tempo se ne è reso reo e contestualmente vittima. Luoghi di vita, artisticamente descritti dall’Autore con abili ed acuti segni affinché l’umanità, liberata dalle paure, possa essere aiutata ad affrontare ed a superare i propri bui esistenziali, risanando quelle ferite culturali causate dalla cieca indifferenza verso ciò che avviene attorno all’umanità. Pierangelo Tieri, a buona ragione, dunque, rappresenta il generoso e coraggioso guerriero che non solo sa affrontare e combattere l’indifferenza con le armi dei suoi pennelli e della propria colta tavolozza ma è colui che, innovando la pittura con il “graffitismo”, ha saputo squarciare le nebbiose fumosità di una parte della cultura contemporanea.
"Roma da una finestra"
Mostra collettiva, dal catalogo "Ars Creandi", Roma
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I volti e i paesaggi particolari di un tempo, realizzati da Pierangelo Tieri, inducono a pensare al personaggio antico. Lo studio che Tieri sta portando avanti, unico nel suo genere, dai colori tenui ma allo stesso tempo incisivi, ci deve far riflettere tanto. Le sue opere comunicano in maniera semplice facendoci intravedere la visione di ieri trasformata in attualità. I gesti e le espressioni ci appaiono familiari, come gli scorci e gli immensi paesaggi. E' un'arte, questa, che fa parte dell'anima serena e burrascosa, gioiosa e triste, solare e nera del giovane artista. Le tele di Tieri si presentano maestose con la giusta tonalità, trasparenza e profondità di esecuzione.